Sono rientrato in Cascina da qualche ora e da questo viaggio a Cracovia mi porto dietro tre immagini.
Uno zainetto.
Il mio, abbastanza compatto con il necessario per i tre giorni del viaggio. Quello dei profughi, quasi sempre poco più grande del mio… a volte hanno anche un trolley, ma comunque è tutto quello che sono riusciti a prendere scegliendo tra necessario, ricordi e cose importanti per la vita futura.
Il confronto mi lascia senza parole: abbiamo un bagaglio grande uguale. Io per tre giorni, loro per la vita…
Le donne.
Non ci sono uomini in arrivo. In stazione arrivano donne con bambini o ragazzi. Arrivano distrutte dopo il viaggio in treno che è durato anche 10-12 ore.
I bambini piccoli sono sempre in braccio, non perché facciano i capricci, ma perché non hanno il passeggino. Evidentemente non ci stava o c’era qualcosa di più importante da portare. I loro sguardi sono persi per la fatica del viaggio, la preoccupazione per i figli e il non sapere dove andare nell’immediato. Gli offriamo dei passaggi per andare in alberghi in cui abbiamo riservato alcune camere per loro.
Ma non si fidano. Non si fidano dei nostri pulmini messi a disposizione per loro. Non si fidano di noi, uomini sconosciuti. Hanno paura che senza soldi debbano restare legate a noi. Come dar loro torto! Cosa hanno vissuto in questi giorni di guerra e di fuga? Che racconti hanno sentito? Dove sono i loro compagni di vita che non sono potuti partire con loro? Alla fine accettano le camere ma vogliono essere trasportate con i taxi ufficiali. E la mattina dopo ringraziano e lasciano l’albergo a piedi.
Qualche uomo c’è. Sono gli ultrasessantenni liberi di poter lasciare il paese. Ma ne ho visti pochi, soprattutto anziani strappati dalla loro terra, affaticati e spauriti che faticano a muoversi. Per fortuna almeno accompagnati dalle figlie. E molte nonne più o meno giovani.
Il sorriso dei bambini.
Ai bambini basta poco per sorridere e giocare. I volontari più intraprendenti gli offrono dei peluche o delle macchinine e il volto dei bambini si accende. Ritorna la luce sul loro viso e la speranza negli adulti. Nelle mamme che si commuovono e nei volontari che sono felici per il loro gesto di affetto, riuscito.
In stazione, durante la notte, ho visto un giovane militare polacco girare tra i bimbi appena arrivati e donare a ciascuno di loro un Chupa-Chupa e un sorriso, strizzando l’occhiolino. “Il mondo può ancora sperare, allora”, ho pensato.
Ora è passata una settimana. Mi sento ancora carico dell’esperienza intensa e coinvolgente.
Riesco a vedere più lucidamente ciò che ho vissuto, gli incontri fatti e le accese chiacchierate che ho scambiato.
Nella nostra “missione” avevamo due obiettivi: portare a Cracovia generi alimentari, medicine, vestiti; accompagnare in Italia persone da ospitare in alcuni spazi della nostra cooperativa in Cascina Nibai. La missione è nata dai passaparola sia su Facebook che tra amici e parenti.
Davide, un collega del settore agricolo, ha una cugina che è in contatto con Luca, bravo ragazzo di Asti che è già stato a Cracovia la settimana precedente. Decidiamo di collaborare con loro per ampliare la missione.
Loro, gruppo di privati desiderosi di fare qualcosa per questa situazione di emergenza, tramite il passaparola hanno raccolto molti soldi per poter organizzare il viaggio e molto materiale da portare nei centri di raccolta della città. E su Facebook hanno trovato il contatto di Sofia Riccaboni, giornalista italiana che abita a Cracovia da qualche anno e che dal 24 febbraio si da fare per questa situazione.
Il materiale è stato consegnato in un centro di raccolta e distribuzione gestito dall’amministrazione comunale.
Le persone da portare in Italia invece erano davvero poche rispetto alle aspettative. Dai discorsi sentiti, ho capito che molti preferiscono restare vicino all’Ucraina perché l’intenzione è quella di ritornare nel proprio paese, nella propria terra, appena finirà questa guerra assurda.
Restano in Polonia, Romania, Slovacchia o vanno in Germania. Oppure in stati più lontani, se ci sono amici e parenti.
Personalmente ho visto una città attiva e organizzata nel gestire la situazione. La vita sembrava normale, più o meno come a Milano. Ho visto molti centri di accoglienza e sostegno per i profughi. Si occupano di distribuire medicine, vestiti e cibo. E procurare contatti per alloggi. Lì di vestiti ne hanno troppi e invece mancano calze e abbigliamento intimo nuovi.
Gli amici di Asti mi hanno mostrato che non è necessario essere grandi e strutturati per fare del bene.
Il passaparola tra amici e parenti, la forte sensibilità su questo argomento e la generosità delle persone
hanno permesso i loro viaggi di aiuto.
Probabilmente oggi non è più necessario andare con pulmini piccoli perché si stanno muovendo le comunità ucraine esistenti nei vari stati, che riescono ad organizzare al meglio i viaggi e le sistemazioni dei loro connazionali.
Oggi è più sensato collaborare con le strutture polacche o le ONG italiane che operano localmente per fornire il materiale di cui c’è più urgenza e vera necessità. In Italia possiamo dedicarci ai profughi arrivati per aiutarli ad integrarsi nelle nostre comunità. Servono sicuramente mediatori culturali e occasioni di incontro sia per i tanti bambini, sia per gli adulti che hanno deciso di lasciare la loro terra e fidarsi della nostra realtà.
Anche Cascina Biblioteca ha aperto le proprie porte ad alcuni profughi ucraini e ha trasformato l’emergenza in accoglienza, se anche tu vuoi conoscere cosa stiamo facendo e vuoi sostenerci, clicca qui. Se vuoi fare una donazione, clicca qui.
4 aprile 2022