Qualche settimana fa abbiamo avuto il piacere di accogliere in Cascina Biblioteca, con le dovute distanze, Riccardo Bonacina, giornalista e fondatore di Vita, testata che ha compiuto 25 anni nel 2019 e che, dalla sua fondazione, si occupa del terzo settore. Non capita tutti i giorni di potersi confrontare con un giornalista che ha avuto modo di conoscere tante realtà che lavorano da sempre nel non profit. Sono tante le domande che, insieme, ci siamo posti, quesiti complessi che non trovano una risposta immediata, ma sono spunti utili per muovere importanti riflessioni.
Da diversi anni studiosi di economia, sociologia e non solo, si interrogano per capire se l’economia può essere governata non solo dal profitto. La pandemia ha accelerato i dubbi sul tema. Alcune correnti di pensiero sostengono che i profitti e la crescita non siano correlati. Ciò è in parte dimostrato dal fatto che non è solo la pandemia ad aver creato una forte decelerazione della crescita economia, questo sta accadendo ormai da alcuni anni in tutto il mondo. Crisi del modello capitalista? In parte sì e questo è il punto di partenza per ripensare al ruolo dell’impresa.
Negli ultimi decenni sono stati tanti i contributi derivanti da diverse discipline per ipotizzare altre forme possibili di economia. Si parla di bio-economia per indicare una forma di sviluppo economico sostenibile da un punto di vista ecologico e sociale. In tanti settori si sono sviluppate correnti di pensiero “bio”: in agricoltura si parla di permacultura, pratiche agronomiche che permettono di preservare la fertilità dei campi tramite imitazione della natura; sono nati poi i concetti di decrescita felice o di economia circolare. In un contesto più ampio, questi sono temi strettamente legati alle disuguaglianze sociali, ai cambiamenti climatici, alla gestione dei rifiuti, agli allevamenti intensivi, etc … Con un obiettivo comune: lo sviluppo sostenibile, che ha al centro il benessere di ambiente ed esseri umani.
Riccardo Bonacina sottolineava che fare società è una condizione necessaria allo sviluppo economico, ma il welfare deve essere sempre più percepito come investimento e non come costo. Società non è nient’altro che un’organizzazione di persone che cooperano per un fine comune, il bene comune. Benessere della collettività significa mettere al centro le persone e le risorse comuni, l’ambiente, la natura, il patrimonio artistico, ma anche e soprattutto la sanità e l’istruzione pubblica e tutto ciò che rappresenta un patrimonio collettivo. Significa tutelare, in primis, le persone più fragili, quelle che hanno bisogno di un supporto, che hanno fragilità psichiche, economiche, che non possono essere lasciate sole. Il bene comune riguarda ogni singolo individuo che è però chiamato a proteggerlo, tutelarlo, favorirlo e metterlo davanti agli interessi personali. Sarà possibile un cambiamento culturale che ci porti in questa direzione? In quest’ottica, il terzo settore deve diventare un motore di cambiamento, uno stimolo per l’innovazione sociale ma deve anche diventare promotore di collaborazione, co-progettazione e co-produzione tra imprese, istituzioni e enti non profit. Talvolta accade, è il terzo settore a trainare l’economia ed è bene valorizzarlo.
Il dibattito su queste tematiche è caldo e deve rimanere tale, per permettere sempre di più confronti su un tema complesso, che vede il concorso di tantissime variabili; pertanto, il direttore di Vita ci ha stimolato a concentrare la nostra attenzione sul ruolo dell’impresa sociale: potrà essere una protagonista nel panorama dell’economia italiana? L’impresa sociale rappresenta un nuovo modo di fare economia e profitto. Si può pensare di produrre beni e servizi coinvolgendo le persone fragili, tutelando l’ambiente, collaborando con aziende profit e istituzioni pubbliche, generando un profitto che può essere reinvestito nell’impresa stessa?
Purtroppo non abbiamo visto grande interesse del Governo nel favorire investimenti nel terzo settore. Né prima della pandemia, né durante. Come sostiene Stefano Zamagni, economista, il terzo settore italiano, che ha raggiunto un ottimo livello se paragonato a quello internazionale, non è stato coinvolto come interlocutore nelle strategie di intervento durante la pandemia. E’ stato completamente trascurato il contributo che avrebbe potuto dare in termini di conoscenza del territorio, competenza pedagogica e sanitaria, capacità di intervenire concretamente nel prendersi cura dei più fragili.
In un suo recente articolo, Bonacina ha ricordato alcuni fatti recentemente accaduti che dimostrano come il terzo settore non rientri mai tra le priorità delle decisioni governative: il ritardo nell’attuazione della riforma del terzo settore, quelli legati alle novità sul 5 per mille, la legge che istituisce la lotteria filantropica, da tempo approvata, aspetta un decreto attuativo da più di un anno. Questa legge prende spunto dall’esperienza di alcuni stati del nord Europa in cui le lotterie finanziano le attività delle organizzazioni non profit. Una lotteria nazionale annuale, che destina il suo ricavato a progetti sociali promossi da enti del terzo settore e che permette così di spostare risorse private su obiettivi di interesse pubblico, senza gravare sul bilancio dello Stato. Ma oggi la lotteria non è ancora attiva perché non è stato emanato il decreto che le permetterebbe di funzionare.
E pensare che durante il periodo più difficile della pandemia, nei mesi di marzo e aprile, se non fosse stato per molte organizzazioni del Terzo Settore, che si sono prese cura delle persone fragili attraverso la spesa a domicilio, la spesa per gli anziani e per le famiglie fragili, il supporto anche a distanza alle famiglie con persone con disabilità, il supporto ai bambini con difficoltà scolastiche, gli enti pubblici non avrebbero potuto rispondere a tutte le richiese di aiuto. Sarebbe sufficiente dare valore a questi interventi per capire la centralità del terzo settore.
Utopia? Noi proviamo a credere che non lo sia, il primo passo per provare ad andare nella direzione in cui il terzo settore possa diventare un interlocutore importante nella società.