Nel cuore di Lambrate c’è un tesoro sepolto.
Sono le antiche marcite del Parco Lambro e chiamarle tesoro non è un’esagerazione. Si deve infatti a questa tecnica agraria la ricchezza di Milano. I contadini medievali si accorsero che facendo scorrere d’inverno un velo d’acqua sui prati il terreno non gelava e l’erba continuava a vegetare, portando così quasi a triplicare il numero di raccolti annui. Sembrava un’innovazione, fu invece una rivoluzione.
Avere foraggio disponibile tutto l’anno permise di sviluppare l’allevamento bovino su basi “industriali”, consentendo in particolare di avviare la filiera del formaggio. In pratica, nel milanese si passò da una agricoltura di sussistenza ad una capitalistica, con benefici per l’economia di tutta la città. Ma le marcite sono un tesoro anche per il patrimonio materiale e immateriale che rappresentano. Non bastava infatti inondare i campi di acqua, bisognava regolarne il flusso affinché questa scorresse come un velo a coprire il suolo per proteggerlo dal freddo e permettere la crescita dell’erba.
Ecco quindi che la marcita divenne un capolavoro di ingegneria idraulica fatto di fontanili e canali che portavano l’acqua, di manufatti idraulici che la regolavano e di prati ad ali che garantivano il flusso costante. E pensare che tutto ciò venne progettato e realizzato a mano da poveri contadini analfabeti (solo in un secondo momento i monaci Cistercensi ed Umiliati ne diffusero la tecnica), trasforma l’ammirazione in vera commozione.
Le marcite hanno costituito la coltivazione iconica e caratterizzante delle campagne e del paesaggio milanese fino a metà del secolo scorso, fino a quando le trasformazioni nel campo della zootecnia portarono al loro graduale abbandono a favore dei campi di mais, che garantivano un mangime più redditizio. Il danno in termini ambientali fu però enorme, perché dal punto di vista della biodiversità la differenza tra le due coltivazioni è abissale. Per accorgersene basta camminare in un prato a marcita osservando la quantità di rane, farfalle, libellule e uccelli che si levano ad ogni passo e poi fare lo stesso cammino in un campo di mais; oppure più semplicemente possiamo confrontare il sapore di un formaggio prodotto da latte di vacche nutrite con erba (come quelli degli alpeggi di montagna), con il sapore di un formaggio “industriale” prodotto da animali nutriti con insilato di mais. Ecco, in un solo boccone avremo coscienza di tutto quello che il nostro ambiente e la nostra salute hanno perso con l’abbandono di questa tecnica.
A Milano di marcite ne sono rimaste pochissime, tutte legate ai parchi di periferia che sono di fatto musei a cielo aperto della storia del nostro paesaggio. C’è il parco delle cave, con le marcite di Cascina Linterno; il parco del Ticinello con quelle di Cascina Campazzo ed il parco delle Abbazie con quelle di Chiaravalle. E c’erano infine le marcite del parco Lambro, legate alla Cascina san Gregorio Vecchio, forse le più importanti perché proprio in questa zona fu sviluppata la tecnica nel medioevo. Diciamo che c’erano perché in realtà giacevano abbandonate sotto il fango e le erbacce. Troppo il lavoro di manutenzione costante che richiedevano, troppo bassa la resa economica per cui da più di 30 anni il contadino le aveva lasciate al loro destino.
Questo almeno fino a tre anni fa, quando la Cooperativa Cascina Biblioteca è subentrata nella conduzione della Cascina san Gregorio e dei suoi 38 ettari di campi annessi. Tra questi, appunto i 7 ettari un tempo coltivati a marcita. Ed è allora che – con gli occhi colmi di emozione – ci siamo accorti del tesoro nascosto. I fossi che portavano l’acqua sono quasi chiusi e pieni di sedimenti, ma esistono ancora e se ne vede chiaramente il percorso; i manufatti sono in gran parte crollati, ma pietre e mattoni che li costituivano sono ancora sul posto ed i pochi esemplari rimasti in piedi permettono un recupero fedele; i campi soprattutto, una volta liberati dalle erbacce e dagli arbusti, rivelano di aver conservato quel meraviglioso susseguirsi di ali che costituiscono l’anima della marcita. In breve, nasce il sogno del restauro, un’operazione a cavallo tra storia ambiente e –permettetecelo – anche arte.
Per farlo servono però tre cose fondamentali, in primis le risorse economiche perché la Cooperativa da sola non può sobbarcarsi l’onere di una iniziativa del genere. Il bando “Coltivare Valore” con cui Fondazione Cariplo sostiene progetti di agricoltura sociale cade a proposito. In secondo luogo servono le competenze, che in un campo così specifico sono difficilissime da trovare. Eppure la Cooperativa Cascina Biblioteca riesce a creare un vero e proprio “Dream Team” composto dal PARiD – centro di Ricerca e Documentazione Internazionale per il Paesaggio del Dipartimento ABC del Politecnico di Milano, vera autorità in materia e che già ha seguito un restauro di questo tipo – dal Parco del Ticino, ultima roccaforte delle marcite lombarde, dove i tecnici del Parco difendono le marcite da 40 anni e ancora quello del camparo delle acque è un mestiere e non solo una curiosità storica; ed infine dalla Fondazione Minoprio, massimo ente di ricerca in campo agricolo della nostra regione.
Il terzo elemento fondamentale per la riuscita del progetto è quello del capitale umano per almeno due ragioni. Intanto, il lavoro è in grandissima parte manuale (le marcite si adattano poco alla meccanizzazione) per cui servono tante braccia per portare a termine un’opera faraonica (si pensi che lo sviluppo dei canali adacquatori è di circa quindicimila metri, cioè 15 chilometri di fossi da riscavare a mano col badile!). E poi perché se si vuole raggiungere il vero obiettivo del progetto – che è quello di restituire alla nostra città un patrimonio collettivo tanto materiale quanto immateriale, fatto di storie, valori, narrazioni – è necessario che i cittadini siano non solo spettatori ma attori di questa rappresentazione. E’ partita quindi una sfida per coinvolgere più persone possibili nell’impresa, ognuno naturalmente secondo le sue capacità e possibilità.
Ecco così che già nei primi mesi si sono trovati a lavorare fianco a fianco i lavoratori di Cascina Biblioteca – molti dei quali soggetti fragili – con i ricercatori del Politecnico, i tecnici e i campari del Parco del Ticino con i tecnici di Minoprio. E poi ancora sono stati coinvolti cittadini volontari che hanno passato i loro sabati mattina col badile in mano e cittadini che – in quanto percettori di reddito di cittadinanza o in quanto persone in messa alla prova – sono chiamati a svolgere lavori di pubblica utilità. E infine tanti studenti di ogni età, da quelli delle scuole medie del quartiere fino agli studenti universitari provenienti da tutto il mondo, la cui presenza è ancor più importante perché ci dice che la storia quasi millenaria delle marcite di San Gregorio potrà continuare ancora a lungo.
In conclusione, l’azione di recupero è partita da soli due mesi e già dalla metà del mese di dicembre sarà possibile riportare l’acqua sul primo quadro di marcita. Per i restanti tre quadri avremo bisogno di almeno un altro anno, sperando di riuscire a coinvolgere altri cittadini che vogliano entrare, anche solo per un giorno, nella storia della nostra città.
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10 dicembre 2021