La Grangia di San Gregorio è una comunità agricola costituita da varie cascine e mulini, gran parte dei quali ancora esistenti, possedimenti che rimasero uniti nel corso dei secoli fino a che entrarono a far parte del patrimonio fondiario dell’Ospedale Maggiore di Milano, vastissimo grazie alle donazioni. All’inizio del 1600 Federico Borromeo, da poco nominato vescovo di Milano, vide la cascina e se ne innamorò, al punto da volerla comprare ad un prezzo più alto di quello che era l’effettivo valore. Tanto amore è testimoniato dal fatto che il Cardinale arrivò a scrivere un libro per decantare le virtù della vita contemplativa nella sua “Villa Gregoriana”. Nel testamento lasciò il possedimento in eredità alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, da lui stesso fondata, con l’impegno che i proventi della conduzione delle terre servissero a pagare due messe quotidiane alla sua memoria e la dote nuziale per 18 ragazze povere all’anno. Con questo nuovo proprietario, da cui prese il nome che conserva tuttora, Cascina Biblioteca rimase per più di 300 anni.
Nella Grangia di San Gregorio sono presenti alcune tra le ultime marcite della città di Milano.
La marcita è una tecnica colturale antica che, in passato, era tipica della pianura della zona a sud di Milano. Il nome “marcita” deriva proprio dalla prassi di lasciare l’ultimo taglio invernale a “marcire” nel prato irriguo, come concime.
Furono i monaci Cistercensi dell’Abbazia di Chiaravalle ad iniziare, già nel tardo Duecento, a bonificare le tanti paludi presenti in pianura per render fertili queste terre. Inoltre, crearono una rete irrigua che terminò qualche secolo dopo, con la costruzione dei Navigli.
Già prima, si faceva stagnare le acque di inverno e marcire sui prati irrigui l’ultimo taglio, tecnica che venne successivamente migliorata anche grazie alla nascita della moderna scienza agraria. Inoltre, lo sviluppo delle marcite permetteva di avere foraggio per quasi tutto l’arco dell’anno, accrescendo il numero dei tagli: questo favorì lo sviluppo dell’allevamento bovino, che portò alla nascita della cascina lombarda. Luogo che raccoglieva tutte le funzioni della vita produttiva, sociale e religiosa.
Come avviene concretamente la coltura nelle marcite? Da primavera ad autunno, sulla marcita scorre un velo d’acqua alimentato da un fontanile, con temperatura che anche di inverno non è mai al di sotto degli 11°, mantenuto in movimento grazie alla leggera pendenza del terreno. Ciò impedisce al campo di gelare, permettendo la crescita continua dell’erba, consentendo fino a 9 tagli di foraggio annuali contro i 3 o 4 della coltivazione tradizionale. A fine febbraio si faceva il primo taglio, tra la fine di novembre e la metà di dicembre l’ultimo.
Grazie alle marcite, i contadini potevano nutrire il bestiame anche d’inverno con erba fresca, ottenendo rese di latte e prodotti caseari che primeggiavano in Europa per qualità e quantità.
Chiaramente, il funzionamento della marcita necessita di un livellamento del terreno e una manutenzione del sistema complessi; un tempo c’era l’addetto specifico, il “camparo”, che si occupava manualmente di mantenere il terreno in condizioni ottimali.
Con l’avvento dell’agricoltura intensiva e dell’utilizzo di macchinari agricoli, le marcite non sono più remunerative ma noi vogliamo sostenere il loro recupero, riportandole ad essere un luogo in cui si genera valore e lavoro.